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RIVISTA LA ROMA – Schegge di Memoria: SIMONE PERROTTA

Ogni mese vi raccontiamo un pezzettino della nostra grande storia… Sull’ultimo numero della nostra rivista, il Prof. Paolo Marcacci ci racconta uno dei nostri eroi, Simone Perrotta… Anzi, ci racconta la storia di una antieroe… Per i nostri amici ‘multimediali’, ecco un piccolo estratto…

Vi aspettiamo in edicola…

Ci sono storie che rendono onore alle vite delle persone perbene, di tutti quelli che non conosceranno mai la luce dei riflettori, né l’onore delle cronache. Ci sono storie che riscattano tutti quelli che meriterebbero di essere celebrati per aver sempre fatto il proprio dovere. Ci sono storie in cui gli antieroi diventano eroi e allora nessuno potrà mai dimenticarli, perché il finale più impensabile a volte lo scrive la realtà e il merito è tutto di quelli che se lo sono guadagnato, perché non avevano né il fisico né gli atteggiamenti da protagonisti eppure protagonisti si son rivelati: giorno dopo giorno, sforzo dopo sforzo, salita dopo salita, neanche fossero gregari di una corsa a tappe. La similitudine ciclistica non può che farci pensare a una salita, magari impervia e dalla pendenza ripida: in effetti, è proprio in salita che iniziò la storia di Simone Perrotta con la maglia giallorossa.

Correva la stagione 2004-2005 e non ci poteva essere annata più difficoltosa per diventare un giocatore della Roma. L’addio forzato e drammatico di Cesare Prandelli prima che iniziasse la stagione; la breve e – col senno di poi – deludente parentesi di Rudi Voeller; l’arrivo di Gigi Delneri con cui la squadra galleggiò quasi sempre al di sotto dell’asticella del decoro; il sofferto finale di stagione gestito da Bruno Conti: la retrocessione sfiorata, i malumori, una finale di Coppa Italia rocambolescamente raggiunta. Cinque allenatori, compreso Ezio Sella per una gara; un naufragio tecnico che coinvolse tutti, coi nuovi arrivati a fungere da capro espiatorio per una tifoseria che non riusciva a capacitarsi per una stagione divenuta via via sempre più preoccupante. Di Perrotta si arrivò a dire che fosse un bluff, uno che non sarebbe riuscito a ripetersi in una grande piazza, dopo l’exploit con il Chievo dei miracoli, guidato tra l’altro proprio da Delneri.

Quel primo anno giocò da mediano, dedicandosi particolarmente alla fase di copertura – in una Roma che restava comunque troppo spesso scoperta – e anche per questo probabilmente non si capì, nel naufragio generale e quasi irrimediabilmente disastroso, che centrocampista di rari completezza e dinamismo fosse. Forse, col senno di poi, si potrebbe dire che la sua prima grande prestazione in maglia giallorossa sia consistita nel modo in cui ha saputo reagire e rispondere alle critiche e alle perplessità: Perrotta non cercò scuse o attenuanti tattiche – alle quali, tra l’altro, avrebbe anche avuto diritto – e ammise che i tifosi avevamo ragione nel criticare tanto lui quanto la squadra. Fu grazie a questa profusione di onestà intellettuale e sincerità che cominciò a non essere un giocatore di passaggio, nella Roma: si era guadagnato stima e rispetto, al di là di quelle che erano state le sue prestazioni nella prima stagione.


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