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RIVISTA LA ROMA – Segno, esulto e torno…

Segno, esulto e torno…. Ecco il titolo della nuova rubrica che ci terrà compagnia sulla nostra storica rivista giallorossa. In questa prima parte, il nostro Alfio Russo ci racconta le più belle esultanze dagli esordi fino al 1975… Per i nostri amici del sito, ecco un piccolo estratto…

Vi aspettiamo in edicola…

Almeno fino all’inizio degli anni Settanta bastavano un urletto, un saltello, un sobrio movimento delle braccia all’indirizzo dei compagni di squadra più vicini, un abbraccio casto e fugace e poi si scappava di corsa a
riprendere il gioco. Scorrono le stagioni e quello delle esultanze tipiche dei bomber per caso o per tradizione è un inventario in continuo aggiornamento al punto che certi festeggiamenti, pur ripensando con tenera nostalgia alla beata semplicità di un tempo, sono divenuti ormai un elemento immancabile dello spettacolo del calcio. Per nostra fortuna anche la storia giallorossa è ricca di tanti gioiosi episodi. Cosa c’è in effetti di più entusiasmante di un gol della Roma? O di una vittoria? Forse solo il tripudio che ne deriva…

C’è un’immagine meravigliosa che mi porto nel cuore e che, per me meglio di tante altre, esprime il senso profondo del nostro essere romanisti. Ha ragione da vendere il mio carissimo amico Fabrizio Grassetti quando dice che certe esultanze sono sempre esistite, questa ne è la prova! Torniamo indietro fino al 13 ottobre 1935, giorno in cui la Roma di Luigi Barbesino, orfana dei tre argentini fuggitivi Guaita, Stagnaro e Scopelli, espugna casa Lazio dopo tre anni e mezzo portandosi a Testaccio il tredicesimo derby capitolino della storia e restando a tiro del Bologna
capolista, a cui invano contenderà fino all’ultimo respiro uno scudetto già sfiorato cinque campionati prima. In quattro escono dal terreno di gioco dello Stadio del Partito, sfiniti ma raggianti per l’impresa da poco compiuta. Ottantadue anni dopo, l’istantanea è più che mai nitida e attuale. Evaristo Frisoni, quasi trasfigurato dalla fatica, riesce a mantenersi in piedi solo sorreggendosi a Fulvio Bernardini che, con aria divertita e irriverente, pare sfidare il fotografo a non perdere neanche un dettaglio di quella trionfale passerella. Il terzo del gruppetto è Guido Masetti, calzettoni calati a metà polpaccio, smorfia che più impunita non si può. Chissà che non abbia appena sfornato una di quelle battute che per tredici anni hanno tenuto unito lo spogliatoio della Roma e poi ne hanno tirato su il morale durante i campionati di guerra. La sua mano forte e sicura, difesa estrema nelle giornate più difficili, cinge al petto, come fosse uno di quei palloni che già mille volte ha saputo domare, Renato Cattaneo che soltanto pochi istanti prima, a settanta secondi dal fischio finale, con un astuto colpo di testa ha messo la firma sulla stracittadina e ora se la può ridere di gusto, stremato quanto felice.


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