PENSIERI E PAROLETOP

PENSIERI E PAROLE di Paolo MARCACCI

di Paolo MARCACCI – Comincerei dalla sempre puntualissima cabala romanista, per la quale siamo e saremo sempre tutti Nostradamus: se qualsiasi bookmaker ci avesse chiesto un parere, gli avremmo consigliato di non quotare il gol di Nainggolan a Bologna. Certo, poi anche i più osservanti della Legge di Murphy tra noi magari non si sarebbero spinti a prevedere il gol di Gervinho contro la Juventus, però queste sono le raffinatezze che il dio del calcio ci riserva quando ci offre l’ammazzacaffè.

Nel frattempo, tutti ci siamo sbrigati a dire che la settimana di sosta sarà provvidenziale. Boh, forse. Però tornano in mente i primi piani, le facce viste a San Siro, nei vari frangenti di un match in cui il Milan, nell’ultimo terzo di gara, ha evidenziato lo stesso calo e lo stesso scollamento patito nella giornata precedente al San Paolo, con la differenza che i rossoneri non hanno avuto di fronte, venerdì scorso, chi riuscisse a evidenziarli, approfittandone.
Le facce, dicevamo, che a volte possono essere più indicative dei numeri, soprattutto quando i numeri li hanno già citati tutti, tra quotidiani, siti e radio: dalla quantità di palle perse da Pastore ai moduli usati e sovrapposti da Di Francesco. Cominciamo dalla sua, di faccia, o meglio dal suo atteggiamento: è sempre preferibile l’incazzatura di Roma – Atalanta, con tanto di manata degna di soccorso ortopedico, alla mestizia delle dichiarazioni a caldo dopo San Siro: nella fissità dell’espressione con cui dichiara che si è regalato un tempo o che deve confrontarsi coi responsabili della preparazione atletica, sembra di intravedere il disappunto di uomo che non sa o non può attribuire una causa (o un nome?) a ciò che vanifica la sua dedizione al lavoro quotidiano. O forse cerca il massimo distacco di fronte alla percezione che alla fine, dovessero precipitare davvero le cose, a pagare sarebbe per primo e soltanto lui, almeno all’inizio, con la beffa che nessuno si ricorderebbe di riconoscergli il merito (merito?) di aver avallato ogni scelta societaria. Di aziendalismo si muore, in certe vicende professionali e a quel punto non è prevista alcuna gratifica.
Altra faccia, nuova e spaesata, quella di Olsen, che a ventotto anni sta provando a cambiare vita, tecnicamente e tatticamente e che va in porta, uscendone raramente, con la “scimmia” sulla spalla del dannosissimo paragone con Alisson. Guardate come esulta ogni volta che si esibisce in un intervento utile: denota il suo vivere sempre sul filo della tensione, il che non aiuta le sue prestazioni, al di là del valore tecnico.
Pastore, dicevano: uno che si guarda spesso intorno, come quei turisti che in giro per Roma non riescono a leggere bene la cartina e si rendono conto di aver sbagliato l’uscita della stazione della metro e non trovano la piazza o il monumento che erano sicuri di trovare.
Edin Dzeko, forse la mimica facciale polemicamente più evidente: cerca di cantare, come a Torino con lo splendido gol, e di portare la croce cercando di far salire la squadra e di tenere palla a beneficio degli inserimenti altrui; nel mentre, sbraita contro tutti e tutti, mugugna e gesticola quando Schick gli pesta gli scarpini, o quando non trova inserimenti dei compagni per i palloni a cui riesce a inventare un “corridoio”. Chissà se ripensa a certe “sliding doors” di mercato, ora che non trova dietro di sé Nainggolan, o Strootman.
Infine Manolas, che più di così gli occhi non li può strabuzzare, vista l’adrenalina di una emergenza quasi continua, in tre giornate di campionato, a ogni ripiegamento difensivo.
Come se ne esce? Facendo gruppo, innanzitutto, senza scaricabarile da parte di nessuno. Forse però anche trovando senso e collocazione a ogni operazione di Monchi, per quanto possibile, il che consentirebbe di tornare a giustificare il giudizio di chi continua a dire che questa squadra è più forte delle altre inseguitrici della Juventus.

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