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Addio a Gigi Radice, burbero ma dolce

IL MESSAGGERO (Ferretti) – Un anno solo ma vissuto molto intensamente. Ecco, in sintesi, l’avventura di Gigi Radice, scomparso ieri all’età di 83 anni, sulla panchina della Roma.

Stagione 1989-90, stadio Olimpico chiuso per i lavori di ristrutturazione legati a Italia 90, il presidente Dino Viola preoccupato per la piega che avrebbe potuto prendere il campionato con la Roma priva del suo pubblico. Così, Viola decise di affidarsi a Radice, che aveva fatto benissimo al Torino, per dare ulteriore forza alla sua Roma. E Radice, uomo dai modi burberi ma dal cuore d’oro, non tradì le attese, Perché riuscì a costruire una squadra a sua immagine e somiglianza. Una Roma non straordinaria dal punto di vista tecnico (ma solo fino ad un certo punto, però) e fortissima sul piano psicologico.

Una squadra tosta e generosa, che aveva il petto in fuori di fronte a qualsiasi avversario anche perché il suo allenatore, Radice appunto, non aveva paura di nessuno. Anzi, le difficoltà lo esaltavano. E quella Roma, la Roma del Flaminio, nella mente dei tifosi viene ricordata come una delle più belle, delle più vere di sempre. Perché non aveva la classe di quella che pochi anni prima aveva vinto lo scudetto, ma un cuore grande così. Grazie a giocatori di immensa personalità come Tancredi e Conti, e poi Nela, Cervone, Voeller, autore di 14 pesantissime reti in campionato, Giannini, Desideri e Rizzitelliper citarne solo alcuni, e sempre pronti a battagliare a viso aperto con il nemico.

OLTRE L’APPARENZA. Radice era un tecnico dai modi spicci, che poco guardava all’etichetta, ma proprio per questo i suoi giocatori lo adoravano. E al Flaminio si trasformavano. Ne fece le spese, ad esempio, la Juventus, piegata dal gol di Desideri, e quella volta la festa per Radice fu doppia ricordando i suoi trascorsi granata, con lo scudetto vinto nel ‘76 grazie a gente come Pulici, Graziani e Claudio Sala. Già, il Toro e poi il Milan, l’altra squadra della sua carriera con la quale da giocatore vinse tre campionati e una Coppa dei Campioni.

Ma quando indossò la tuta della Roma, Gigi si sentì al volo a casa sua perché nella società di Dino Viola riconobbe i principi della sua vita. I giocatori di quel periodo raccontano di un uomo duro in campo ma divertente e addirittura dolce fuori, capace di tenere il gruppo dalla sua parte anche con una serie infinita di aneddoti, battute e racconti spesso ingigantiti a mestiere. Ma andava bene anche così, perché la Roma in quella stagione chiuse serenamente al sesto posto, nonostante il dramma di Manfredonia, gettando le basi per i ruspanti Anni Novanta che, da Ottavio Bianchi in poi, hanno trasportato la squadra giallorossa verso il terzo scudetto della sua storia.

 

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