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ACCADDE OGGI… 8 dicembre. Roma-Colonia: Quando eravamo re…

36 anni ci fu una partita che cambiò la nostra storia, Roma-Colonia. Quella squadra, conosciuta praticamente solo in Italia, entrò nella bocca di tutti i tifosi del calcio. In tanti modi è stata raccontata quella partita, ma per i nostri amici social, vi riproponiamo il racconto di quella partita fatto per la nostra rivista di Paolo Marcacci…

Per chi c’era e per chi solo ne ha sentito parlare… Da brividi!!!
Buona lettura!!!


LA ROMA 345 – Dicembre 2015
Schegge di Memoria: “Quando eravamo re…”

Da dove dovremmo cominciare, per spiegare a quelli più giovani di noi che cos’era il “mercoledì di coppa”? Perché si chiamava proprio così e lo si aspettava come una calcistica manna, che a intervalli regolari pioveva dal cielo d’Europa fin dentro le nostre case, in un’epoca in cui proprio le coppe rappresentavano l’occasione per assistere in diretta televisiva a incontri tra squadre di club. Il fascino del grande calcio in tv, che per paradosso scaturiva dal fatto che il football ancora non era diventato un “prodotto” principalmente televisivo: il palcoscenico principale del pallone era ancora lo stadio, che era sempre pieno, quando non addirittura esaurito; quella cornice di pubblico fitto e quel clamore erano uno delle principali attrattive anche per chi assisteva alla partita da casa.

A un ventenne di oggi, abituato alla gran quantità di gare della Champions League e soprattutto dell’Europa League, dovremmo innanzitutto spiegare che cos’erano la Coppa dei Campioni, la Coppa Uefa e, finché è esistita, la Coppa delle Coppe, con i loro turni di andata e ritorno a eliminazione diretta.

Dovremmo parlare della curiosità e del fascino che emanavano squadre e giocatori stranieri, dei quali non si sapeva molto e si vedeva ancor meno. E dovremmo raccontargli anche di quando si facevano le ore piccole aspettando che Giampiero Galeazzi comunicasse tutti i risultati, compresi quelli che giungevano a tarda ora dal Portogallo o dai paesi dell’Est comunista. Perché anche Karl Marx disputava le coppe europee. Addirittura Paolo Villaggio, in “Fantozzi in Paradiso” del 1993, fa dire al suo celeberrimo ragioniere che il mercoledì di coppa è l’unica gioia della sua vita: grottesca esagerazione che rende però l’idea di quanta solennità ci fosse in quell’unico, invariabile giorno dedicato a tutte le rassegne calcistiche continentali. A volte bastava uno di questi mercoledì per dimostrare all’Europa intera, ma forse prima ancora a se stessi, di essere diventati grandi, di poter ambire a frequentare i palcoscenici calcistici che contano, vivendo pagine fino ad allora soltanto sognate, o vissute indirettamente, spiando le coppe degli altri. …

Per la Roma di Nils Liedholm questo passaggio di maturità, il superamento della calcistica linea d’ombra, avvenne in un piovoso pomeriggio di dicembre del 1982. In quell’anno magico per il calcio italiano, dopo la terza Coppa del Mondo conquistata al Mundial spagnolo, ancora in autunno si vivono gli strascichi delle emozioni provocate dalla esaltante, impensabile cavalcata trionfale da parte degli Azzurri di Enzo Bearzot. Guidata in campo dalla classe e dalla superiore visione di gioco di Paulo Roberto Falcão, che è l’estensione in campo dei dettami tattici di Liedholm, la Roma ha iniziato la stagione suffragando, a colpi di risultati e prestazioni sempre più autorevoli e convincenti, le sue ambizioni di vittoria del campionato, pur se la diretta concorrente è una delle Juventus più forti di sempre, vale a dire quella che ha incastonato le gemme di Boniek e Platini in un’intelaiatura costituita dal blocco dei freschi campioni del mondo, partendo da Zoff per arrivare a Paolo Rossi, passando per Cabrini, Gentile, Scirea e Tardelli.

I giallorossi, nel frattempo, hanno già iniziato un convincente cammino anche in Coppa Uefa, eliminando nei trentaduesimi di finale gli inglesi dell’Ipswich Town e nei sedicesimi gli svedesi del Norrkoeping. Per gli ottavi, l’urna riserva alla Roma un avversario di prestigio, che rappresenta anche un vero e proprio esame di maturità per Falcão e compagni: il Colonia, storica formazione tedesca, guidata in panchina da un santone del calcio europeo come Rinus Michels. Nel momento in cui si conosce il nome dell’avversario della Roma, la stampa italiana ravvisa nel confronto un forte valore simbolico: le due gare di andata e ritorno saranno una riedizione della finale mondiale del Santiago Bernabeu, andata in scena poco più di quattro mesi prima e vinta dall’Italia per tre a uno. Per i tedeschi, la prima occasione di rivincita, anche perché, dopo quello storico 11 luglio, si ritrovano di fronte Bruno Conti da una parte, Klaus Fischer e il portiere Harald Toni Schumacher dall’altra, che le zolle della finalissima avevano calpestato.

Nella squadra di Michels militano altri grandi giocatori, a cominciare dall’anziano Rainer Bonhof, vecchia gloria del calcio teutonico, proseguendo con Zimmermann, Konopka e col prolifico centravanti Klaus Allofs. La Roma è attesa da una prova durissima dunque, contro una compagine tecnicamente fortissima e soprattutto esperta, più dei giallorossi, di grandi confronti internazionali.

A testimonianza dell’elevata soglia di difficoltà del confronto, arriva il risultato della gara di andata: la sera del 24 novembre, al Mungersdorfer Stadion di Colonia, i padroni di casa prevalgono per uno a zero, grazie all’imperioso stacco di testa con cui Allofs batte Tancredi sul finire del primo tempo. Tabellino a parte, la gara dice però anche e soprattutto altro: il palleggio della squadra di Liedholm ha impressionato tutti, il ritorno allo Stadio Olimpico sarà un confronto apertissimo, in cui un ruolo importante lo rivestirà anche l’ambiente, prevedibilmente caldissimo e pronto a spingere la Roma in ogni modo verso la rimonta. In effetti, già all’indomani della sconfitta in Germania, la vendita dei biglietti fa registrare ritmi vertiginosi; alla fine saranno quasi 67000 i romanisti che acquisteranno il tagliando, per un incasso che supera i 900 milioni di Lire e stabilisce il nuovo record in Italia. Numeri oggi impensabili, abituali fino agli anni novanta.

Dunque, alle 14.30 di mercoledì 8 dicembre 1982, Roma e Colonia si ritrovano sul terreno viscido dell’ Olimpico, in una giornata fredda e piovosa: solo il clima fa sentire a casa i tedeschi, il resto è una bolgia di colori giallorossi, cori e tamburi che fanno da volano alla manovra romanista sin da quando il direttore di gara, il belga Schoeters, dà l’avvio alla contesa. Il copione della gara è quello previsto, nonché prevedibile: la Roma che sin dai primi minuti ordisce la trama di un ragionato e raffinato assedio, che non perde efficacia malgrado il terreno allentato dalla pioggia sempre più insistente col passare dei minuti; il Colonia guardingo e raccolto a protezione del vantaggio  maturato al Mungersdorfer Stadion, pronto a sfruttare le occasioni per ripartire in contropiede, grazie anche all’apporto di un altro dei suoi grandi giocatori, assente nella gara di andata: il funambolo Pierre Littbarski, un altro dei reduci della finale di Madrid.

Impressionante, col consumarsi della gara, la spinta crescente della Curva Sud, e dello stadio tutto: la folla ci crede al punto tale che la pioggia le rimbalza addosso. Indescrivibile il boato che segue al vantaggio romanista, all’inizio della seconda frazione di gioco, quando Maurizio Iorio ribadisce in rete, di testa, un pallone che Schumacher non trattiene su una terrificante punizione dal limite di Agostino Di Bartolomei. Equilibrio assoluto. Se finisce così, si va ai supplementari.

La ripresa trascorre, con la Roma che segue lo spartito iniziale, pur appesantita dalle tossine di un’intensità rara per il calcio degli anni ottanta; il Colonia in più di un’occasione si salva dal raddoppio. Si arriva allo scoccare del minuto ottantotto. I supplementari sono dietro un giro e mezzo di lancetta. Lo dice Nando Martellini in telecronaca diretta, lo dice anche Enrico Ameri alla radio, lo dà per scontato l’Olimpico intero, ormai. Non lo pensa Falcão, appostato qualche metro oltre la linea dell’area di rigore, per seguire gli sviluppi di un calcio d’angolo di Conti, dalla lunetta di sinistra. Stop di petto, maestoso come solo lui sa essere anche dopo un’ora di diluvio, collo destro potentissimo che scuote la rete fradicia appena sotto la traversa, con la fungaia degli ombrelli che si solleva all’unisono, mentre Schumacher impreca alla luce dei riflettori. Delirio e consapevolezza, boato e maturazione: la Roma è diventata grande.

«Avrei potuto cercare l’abbraccio anche delle tribune, ma ho preferito correre verso i tifosi della Curva Sud un po’ perché avevo segnato proprio sotto i loro occhi, ma sono corso da loro soprattutto perché costituiscono il simbolo e l’anima del tifo giallorosso, della passione popolare verso la Roma. Dopo il gol noi giocatori corriamo quasi sempre verso i tifosi della Curva Sud perché per la Roma danno il cuore sopportando ogni disagio, compreso il fatto che da quella posizione si vede male la partita»: quasi più bella del goal, è la dedica che il Divino regala a chi ha vinto la partita assieme a lui.

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