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Dieci anni dopo riecco Carletto: quanto amarcord all’Olimpico

(IL MESSAGGERO, Carina) Torna nella Capitale ma da avversario. Lo aveva già fatto in avvio di stagione contro la Lazio ma la Roma, ad Ancelotti, regala inevitabilmente emozioni diverse: «Roma ha rappresentato qualcosa di particolare nella mia carriera, mi è rimasto nel cuore quel periodo lì, ha lasciato un segno indelebile, al di là degli infortuni che ho patito». A tal punto che spesso, nella sua carriera da allenatore, s’è augurato prima o poi di tornare: «Mi ci vedrei bene». Inizialmente perché gli «sarebbe piaciuto allenare Totti». Poi soltanto per il piacere di «allenare una squadra che amo in una città che amo». Parole rimaste lì, in sospeso, senza un seguito. Della serie: poteva essere e non è stato. Almeno per ora. Curiosamente la Roma è la seconda avversaria che nella sua carriera in panchina ha affrontato di più: 32 partite, 11 vittorie, 12 pareggi e 9 sconfitte con 40 gol segnati e 37 subiti.

L’ultima volta che ha messo piede all’Olimpico incrociando i giallorossi risale però a più di 10 anni fa. Era una fredda sera di gennaio e Roma e Milan pareggiarono 2-2 con Vucinic e Pato a scambiarsi reciprocamente doppiette. Oggi pomeriggio rivedrà con piacere Ranieri che in carriera s’è tuttavia rivelato qualcosa di molto vicino ad un tabù. Sei confronti, zero successi: 3 sconfitte e 3 pareggi. Il Napoli, secondo, dovrà fare a meno di diversi calciatori (Insigne, Zielinski, Albiol, Diawara, Chiriches, Ospina e Ghoulam) ma non viene certamente a fare una passeggiata: «Mi aspetto una partita attenta e gagliarda da parte della Roma – spiega – ci saranno giocatori molto motivati e concentrati. La Roma è preoccupata. L’aspetto psicologico della partita è nelle nostre mani. La testa all’Arsenal? Sarebbe da folli e superficiali. È una gara di cartello e noi vogliamo consolidare il secondo posto».

Tutto il mondo è paese e come a Roma si teme una partenza di Manolas, Zaniolo e Pellegrini, a Napoli il timore riguarda Allan e Koulibaly. Sul tema Ancelotti è perentorio:«Entrambi sono giocatori del Napoli e rimarranno giocatori del Napoli. Quando mi vedrete incatenato a Castel Volturno significa che sono andati via. Non abbiamo l’esigenza di vendere». Parole che suonano familiari a queste latitudini. L’ultimo che le pronunciò – Garcia su Pjanic, il 5 aprile del 2014 – non fu particolarmente fortunato. Venti mesi dopo a Trigoria non c’erano più né lui tantomeno il bosniaco.

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