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E’ morto Azeglio Vicini, ex ct della Nazionale di calcio

È morto a Brescia l’ex commissario tecnico della Nazionale Azeglio Vicini. Avrebbe compiuto 85 anni a marzo. È stato il tecnico degli azzurri ai Mondiali di Italia 90 ed è rimasto ct fino al 1991 prima di lasciare la Nazionale ad Arrigo Sacchi.

Gran terra di allenatori e soprattutto ct la Romagna: Edmondo Fabbri, Azeglio Vicini, Arrigo Sacchi. Azeglio Vicini la Romagna la portava ovunque con la sua simpatia, la sua umanità, la battuta pronta, la voglia di scherzare e sdrammatizzare il calcio. “Oè, ma facciamoglieli vedere no, questi azzurri a questi giovanotti che sono venuti a salutarci a migliaia!” E così a Salerno, al vecchio Stadio Vestuti, ordinò che i vari Zenga, Vialli, Mancini, Giannini, Baggio – la sua nazionale – si infangassero tutti corricchiando in allenamento lungo quella fascia di campo ricoperta di pozzanghere. Perché tutti potessero vedere e quasi toccare, i loro beniamini. Sia pure irriconoscibili e infangati dalla testa ai piedi. Gli azzurri. “Visto? Gli azzurri sono sempre al servizio della gente!”.

Diceva sempre “gli azzurri”, come fossero carabinieri preposti a servire il buon nome dell’Italia e del calcio italiano. E portava la divisa della nazionale con grande orgoglio, sempre a posto, stirata, fresca, perfetta. Come un prefetto, un questore, un funzionario pubblico al comando della squadra più bella e importante del calcio italiano: la Nazionale. Altri tempi. Come Enzo Bearzot Vicini aveva lo stesso identico spirito di servizio e rapporto d’amore con la Nazionale, che per decenni ha cresciuto i suoi allenatori all’Università di Coverciano e poi avviati piano piano a guidare tutte le squadre azzurre. Fino alla più grande: la Nazionale maggiore. E già l’Under 21 – dopo l’Under 23 – era una grande nazionale, seguitissima, amata, popolare.

Quando l’avventura di Bearzot giunse naturalmente al termine dopo Mexico ’86, non ci fu alcun travaglio nella scelta del nuovo ct. La successione era matematica e già fatta, e Azeglio Vicini, ct dell’ Under 21, ne prese naturalmente il posto, travasando nella nazionale maggiore una squadra bellissima, ricca di talento, conosciutissima. Mancini, Vialli, Zenga, Giannini, Donadoni, Bergomi, Ferri, solo per citarne alcuni. Gli Europei ’88 in Germania e Italia ’90 furono due grandi entusiasmanti avventure, vissute insieme a una squadra giovane, aggressiva, che l’Italia condivideva e amava. Il calcio di Vicini era all’italiana ma già molto moderno, e gli inserimenti di Maldini subito, Baggio e Schillaci poi ne avrebbero fatto una squadra all’avanguardia, che letteralmente scoppiava di classe. E che non vinse forse proprio perché mancava di un po’ di quel cinismo delle grandissime squadre.

A Italia ’90, il Mondiale delle notti magiche, la Nazionale pagò il prezzo di trovare sulla sua strada l’Argentina di Maradona, e a Vicini rimase sempre il cruccio che il San Paolo e Napoli non avessero adeguatamente appoggiato e sostenuto, se non addirittura fischiato, la Nazionale in semifinale. Ne nacque una gran polemica, ma Napoli rifiutò sempre l’accusa di aver tradito l’Italia per Maradona.

Aveva particolare passione, Vicini, per i numeri e le statistiche. E in tempi in cui gli smartphone non esistevano portava sempre in tasca un’agendina dove appuntava partite, formazioni, marcatori, gol, assist, tutto. “Allora. Luca, Luca, Luca (Gianluca Vialli, ndr), tu non mi fai gol dal… dal…”: ma ovviamente lo sapeva benissimo anche a memoria. Grande intrattenitore, i suoi ritiri non erano ancora chiusi a chiavistello, gli piaceva il contatto col pubblico, i giornalisti, la tv. Se Bearzot era per definizione un papà burbero, Vicini per definizione era, al contrario, uno zio simpaticissimo. La moglie Ines, che portava spesso con sè, aveva la discrezione ma anche il ruolo di first lady. Faceva molto famiglia, gruppo, ambiente. E viaggiava spesso accanto a lui in prima fila sull’aereo azzurro.

Sarà ricordato Vicini come un bravo ct e per quelli che allora seguivano la nazionale come straordinario raccontatore di barzellette, soprattutto in romagnolo. Purtroppo le più divertenti non sono riportabili. “Allora c’è un giovanotto in tempesta ormonale che fa dei sogni un po’ bollenti e decide di concedersi, vero, un’avventura, diciamo così, sexy a Bologna…”. Il suo calcio era leggero e non c’era alcuna drammatizzazione. Al presidente democristiano Antonio Matarrese, che la scelta di Vicini l’aveva ereditata dal predecessore Federico Sordillo, piaceva portare in giro la Nazionale, come un suo giocattolo, per tutte le città italiane, soprattutto al Sud. E guai a chi osava contestare il primato azzurro. Però voleva anche una nazionale vincente e quella non gli bastava più. Purtroppo per Vicini, fu infatti proprio Matarrese a far patti con Berlusconi per avere una nuova bandiera azzurra da sventolare in Italia e nel mondo.

Arrivò fino al 1991 infatti Vicini, quando, fallita la qualificazione agli Europei 1992, fu sostituito da un altro grande romagnolo: Arrigo Sacchi. Cinquanta chilometri sulla via Emilia e da Cesena si passa al vate di Fusignano. Cambio di panchina e cambio di filosofia. Anche se bisogna dire che a Vicini mancò veramente solo la vittoria e mai praticò un calcio catenacciaro e primitivo. Anzi. Ma i tempi stavano cambiando, e dunque gli anni 90 volevano altre storie e altri ct. E Sacchi, che – rivoluzione! – non veniva dalla scuola federale, era veramente il massimo allora. Una stretta di mano e sacchismo fu.

Fu anche un bel calciatore, Vicini, una figurina Panini, azzurrina anche quella, della Sampdoria anni 50/60. Il suo miglior amico il fido centravanti di quei tempi Sergio Brighenti, modenese, suo secondo in azzurro e sempre vicino a lui. “Sergiooo! Mò facciamogli ben vedere come si calcia un pallone nella porta a questi azzurri!”. Il destino di Azeglio fu scritto tutto, fin da quando nacque (1933), nel nome: era uno slogan naturale all’unità d’Italia. E c’è stato un momento, allegro e felice, in cui l’inno della nazionale era veramente “Romagna mia”.

(fonte: REPUBBLICA.IT)

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