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EDICOLA. L’urlo dei lupi per uscire dal tunnel…

IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) – Dopo aver rotolato per un mese e mezzo abbondante giù per le scale del campionato, la Roma è atterrata su un pianerottolo del Bentegodi. Si è fermata, si è scrollata la polvere di dosso, ha controllato se fosse tutto a posto, ha dato un’occhiata intorno a sé e, quasi non più abituata a farlo, si è ritrovata con i tre punti.

E, un attimo dopo, ha cacciato un urlo grande così. Felicità? Macché: liberazione. Non tanto la gioia per aver battuto, seppur con un uomo in meno, il modesto Verona, quanto la (ritrovata) soddisfazione di aver portato a termine il lavoro. Avete presente Manolas o Florenzi appena dopo il fischio finale di Fabbri? Facce devastate dalla tensione, urla e pugni chiusi per scaricarla. Per uscire dal tunnel.

La Roma, i suoi tifosi, Eusebio Di Francesco avevano bisogno di recuperare il sorriso. Di dare un segnale prima a se stessi e poi al mondo esterno senza mandare di traverso, se non ai nemici, il pranzo della domenica. C’è riuscita, la Roma, mettendo in mostra i suoi abituali difetti, facendo avvelenare per l’ennesima volta chi la ama, segnando il minimo e sprecando il massimo.

Nell’arte di complicarsi la vita, gli uomini di EDF non hanno rivali. Non tanto (e non solo) nello sbagliare ciò che è umanamente impossibile sbagliare dalle parti del portiere avversario: la vera unicità della Roma sta, ad esempio, nel restare in dieci, e contro un avversario quasi rassegnato, pur essendo in vantaggio di un gol e in quasi totale controllo della situazione. Possibile? Possibile sì, ma solo nella Roma. Roba atavica, però, mica dell’altro ieri.

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