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ROMA-SHAKHTAR SOTTOPASSAGGIO. Ciao Gufi…

di Paolo MARCACCI – Per il compleanno dei Fedayn; per quello di Bruno Conti; per ogni ricorrenza che ricordi quelle volte che avremmo meritato di fare più strada e per tutte quelle in cui avremmo meritato quel poco in più che ancora rimpiangiamo. Scende in campo la storia della Roma, stasera, che chiede a se stessa un passo più lungo da poter rammentare.

Primo tempo di palloni buttati in mezzo per un Edin Dzeko poco partecipe e molto bloccato, con meno arretramenti del solito a cercarsi palloni da lavorare nella trequarti. Guizzo in canna, Ünder spesso si perde nella morsa dei quattro della linea difensiva ucraina; a volte in affanno Strootman, almeno all’inizio. È una Roma che tenta di imbastire, perché dire che stia costruendo sarebbe ancora troppo. Bisogna anche dire che di rischi non se ne corrono, nella prima frazione, se non per una mezza fuga di Ferreyra favorita da un controllo approssimativo di Fazio. Shakhtar che però dà l’idea di essere sornione come serve in serate come questa, in cui l’episodio favorevole che può capitare, cambia il destino di un intero turno di coppa, quindi di una stagione. Eccessivo il cartellino che Mallenco sventola sotto il naso di Alessandro Florenzi, uno dei romanisti più volitivi nel tentare di suonare la carica. Partita bloccata, quindi particolarmente in bilico e, non sembri un mero virtuosismo dialettico, non impossibile da sbloccare. Magari con una variazione sul tema: nell’intervallo, ci viene in mente il nome di El Shaarawy, senza toccare Dzeko. Servono più che mai, dal momento in cui le squadre tornano sul terreno di gioco, lucido per l’umidità, i 48000 dell’Olimpico, a soffiare autostima per potercela fare. Perché farcela sarebbe storia, i conti per noi vengono dopo, con tutti i conseguenti benefici di una qualificazione.
Si ricomincia con lucidità, che è la notizia migliore per l’abbrivio della fase decisiva della gara.
Minuto 52, l’essenziale stavolta è visibile agli occhi di uno stadio intero: lancio di prima di Strootman dalla trequarti, partenza nitida di Dzeko tra Ordets e Rakitskiy, esterno destro di zucchero a velo su Pyatov in uscita. Come un bacio lungo lungo all’improvviso, uno a zero.
Grandina Roma, verso Pyatov, a cominciare da un destro arcuato di Dzeko che gira poco oltre il montante: sullo sfondo, la Sud già in piedi. Nel frattempo, giallo a Manolas, per proteste. Evitabile.
Minuto 64, Gerson al posto di Ünder.
Minuto 70, Shakhtar in affanno; Stepanenko non può che stendere Perotti, che gli stava sfuggendo lungo l’out destro della Roma, giallo inevitabile. Lo stesso Stepanenko poco dopo cede il posto a Petriak. Poi tocca a Fred, che fa incespicare Strootman, finire sul taccuino di Mallenco. Partita frantumata dalle pause, spezzettata dai fischi di Mallenco; un vantaggio per la Roma finché il tempo fugge come fugge Dzeko, nitidamente, al minuto 78; Ordets lo abbatte: rosso fuoco. Shakhtar in dieci.
Ha già perso la testa, la squadra di Fonseca, lo dimostra Ferreyra quando fa volare un raccattapalle oltre i cartelloni pubblicitari. Solo ammonito, ma fa precipitare i suoi in un tritacarne emotivo.
Manca sempre un’eternità, anche se passa il tempo, fino al minuto 88, quando Dzeko si gode gratitudine e passerella, lasciando minuti di trepidazione a El Shaarawy.
Canta uno stadio europeo, perché colorato di giallorosso.
4′ di recupero, triturati dalla scaramanzia.
Quando fischia lo spagnolo, per ognuno dei nostri abbracci c’è un gufetto che cade dal trespolo.

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