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EDICOLA. La rinascita della Roma passa sempre da De Rossi

GAZZETTA DELLO SPORT (Cecchini) – La partita numero 600, in fondo, è stata un’investitura, ma a santificarlo c’è stato anche altro. Lo si è capito due sere fa, quando Francesco Totti lo guardava con quel misto d’ironia e affetto che solo lui, nel calcio, riesce a dispensare in quel modo.

Forse anche per questo il derby di Daniele De Rossi – la sua partita numero 601 – avrà un sapore speciale, visto che nella notte del Colosseo il racconto dell’amicizia tra due simboli della Roma giallorossa è parso quasi un ulteriore passaggio di consegne, quanto mai opportuno alla vigilia di una Stracittadina che vede i giallorossi convalescenti. «Quando sono arrivato in prima squadra – ha raccontato l’attuale capitano – c’erano tanti giocatori affascinanti. Ma Totti lo guardavo in maniera particolare. Da lì a poco è diventato un compagno, poi un amico. In ogni caso all’inizio era un sogno, perché ero vicino ad uno che faceva quello che avrei voluto fare io».

SPECIALE – Ecco, essere con la fascia al braccio entrando in campo per giocare un derby, era senz’altro uno degli obiettivi di De Rossi. Un traguardo lontano, ma non irraggiungibile, tant’è che Totti ha ricordato: «Daniele già si notava quando era in Primavera. Anche in quel periodo si parlava di lui come di un giovane di grandi prospettive. Lui era sopra le righe, se ne parlava di più che degli altri.

Già si vedeva che aveva un grande futuro, da capitano. Ha fatto quello che ho fatto io. Per questo non poteva essere che lui il mio successore, visto che abbiamo camminato insieme tanti anni».

EREDITA’ – Probabile che tutto questo Daniele lo ricorderà questo pomeriggio, quando sarà chiamato a guerreggiare contro un tipo tosto come Leiva. Ma De Rossi è l’erede designato, ed è per questo che non può certo avere paura d’incrociare i tacchetti contro l’ex del Liverpool. «La fascia è stata un’eredità pesantissima – ha ammesso infatti Daniele –.

Ogni partita sento la gente urlare: “Un capitano, c’è solo un capitano”, mi giro e capisco non è per me…. È una responsabilità. Io non cerco di essere quello che è lui per noi romanisti, sarebbe impossibile. devo essere me stesso, onorando quello che ha fatto lui. D’altronde essere l’emblema del romanismo si può anche senza segnare trecento gol».

SPINTA – Tutto vero. Con De Rossi alla guida parrebbe più facile spolverare quel romanismo che può far archiviare un inizio di stagione abbastanza malinconico.

Non nascondiamolo: battere la Lazio e subito dopo onorare il pronostico, sconfiggendo martedì prossimo anche il Viktoria Plzen e quindi l’Empoli in trasferta, sarebbe il modo migliore per raccontare al calcio italiano ed europeo che la Roma è guarita, che non ha più paura dei propri fantasmi. Che anche senza Totti la fascia della Roma, con de Rossi, è sempre in ottime mani.

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