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PENSIERI E PAROLE di Paolo MARCACCI

di Paolo MARCACCI – Si può perdere: formula avvilente, detestabile, soprattutto se la si pronuncia prima che accada. In particolar modo, se te lo dici da solo, come se fosse un’autoassoluzione. Certo che a Madrid si può perdere, lo sa tutta Europa, visto che sono andati a segno per quarantatré serate di fila, in Champions, al Santiago Bernabeu.

Proprio per questo, sarebbe bene dire, quantomeno alla vigilia, che ci vuole una prestazione speciale, soprattutto sotto l’aspetto emotivo e caratteriale, per quanto riguarda grinta (parola che in italiano rende l’idea, con tutto il rispetto per la “garra”) e determinazione.

Paradossalmente, poi, se si dovesse giudicare dal livello della prestazione, bisognerebbe dire che si può perdere anche al Dall’Ara, giocando o non giocando così, senza scomodare una dozzina di Coppe dei Campioni.

La Roma è scesa in campo già sconfitta a Madrid, ancora prima di evidenziare una serie di prestazioni personali francamente avvilenti. Questo a maggior ragione, anche se sembra un altro paradosso, perché allo scoccare del quarantacinquesimo minuto, prima della mirabile esecuzione di Isco dalla lunetta, si era ancora sullo zero a zero. Solo per una serie di casualità e per merito dei guanti di Olsen i padroni di casa non erano ancora andati a segno; però l’incertezza era solo sul tabellone e sui tabellini: sul terreno di gioco si stava consumando, con l’aggravante dello stillicidio, una sorta di mattanza addolcita dal palleggio rilassato di Marcelo e compagni. Questo è stato inaccettabile, non i tre gol che sarebbero potuti essere cinque, o otto, in questo caso fa poca differenza. Il tutto sempre in assenza di quelle ruvide entrate o di quei falli di frustrazione che rappresentano comunque un segno di vita in serate in cui si patisce una conclamata (nel nostro caso anche autodenunciata) inferiorità tecnica.

Sarebbe il caso, in questa città che calcisticamente – sponda giallorossa – è la più indulgente del mondo ed è ora che qualcuno lo dica, cominciare a mettere al centro del dibattito i giocatori, chiamarne in causa direttamente gli atteggiamenti, prima ancora che le prestazioni. Altrimenti si continuerà a parlare del famigerato “ambiente”, che esiste o non esiste a seconda dei casi; oppure si occuperanno giornate intere a parlare dei beceri insulti in occasione del compleanno di Monchi, o del faccino triste di Kluivert per essere andato in tribuna al Bernabeu.

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