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ROMA-JUVENTUS. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI

Si arriva presto, per Roma – Juventus. Non perché, o non solo almeno, si debba parcheggiare prima possibile e nemmeno perché la fila ai cancelli potrebbe essere già di per sé uno stillicidio di tensione. 

Si arriva presto perché questa partita, per ogni partita che si rinnova, si porta dietro mille anni di sfide e un milione di altre partite, col nome di Turone che è soltanto un segno di punteggiatura più marcato che divide un’epoca da un’altra, anche se quest’ultima sembrava impensabile. 

Simbolica premessa di un’importante giornata di campionato, un campionato che da tempo non si mostrava così…episodico? Forse, o forse può ancora aver molto da dire, come da dire ha sempre Paulo Fonseca, alla sua maniera non banale e sempre mirante al fulcro delle questioni. Non si è nascosto, ieri, per esempio, quando ha evidenziato un vizio antico, preesistente alla sua guida tecnica e a tutta la sua carriera di tecnico: la storia, insopportabile, delle motivazioni, che contro la Juventus arrivano naturalmente (vorremmo vedere) e invece contro Genoa o Sassuolo, per dire, richiedono che qualcuno vigili affinché non si affievoliscano. È un concetto impensabile anche soltanto da formulare, ad altre latitudini. Ma a volte si trovava a doverlo sottolineare già Fabio Capello, nelle stagioni che seguirono a quella del terzo scudetto. 

Difesa a quattro ed equilibri conservativi, quindi Fonseca non dà seguito alle possibilità fatte trapelare ieri in conferenza.

L’undici è lo stesso di Roma – Torino; l’atteggiamento anche, purtroppo: Juve subito in vantaggio, come un coltello nel burro, su una bambola difensiva che vede Smalling e soprattutto Kolarov tra gli imputati. 

Prima del decimo arriva anche il raddoppio, perché la Juventus beneficia di un calcio di rigore che arriva dopo la gestione dissennata di un pallone che, spalle alla porta, il francese amministra come peggio non si potrebbe. Dal dischetto, Cristiano Ronaldo spiazza Pau Lopez e fa detonare il gremitissimo settore ospiti. 

Non è neppure la notizia peggiore della serata, pensate: quella arriva quando Zaniolo, autore di una percussione mirabile per vie centrali, la cosa più bella del primo tempo romanista, finisce a terra dopo un contrasto con Rabiot. Dolore, lacrime e costernazione di compagni e avversari. Dentro Ünder e dita incrociate, Roberto Mancini compreso, per il più fulgido talento del calcio italiano.

Nel frattempo, sempre per infortunio, la Juventus aveva mandato in campo De Ligt in luogo di Demiral, anche lui molto dolorante al ginocchio, come il golden boy romanista. 

In bocca al lupo a entrambi, mentre Kolarov, svagato in copertura, si mostra più impreciso del solito su calcio piazzato. 

Tre ammoniti per parte (Mancini, Kolarov e Veretout nella Roma; Pjanic, Rabiot e Cuadrado nella Juventus) e Juventus che si può permettere di giocare al gatto col topo. 

Questo è.

Strano secondo tempo, quasi presuntuoso per la Juve che crede di potersi permettere persino di non cercare il terzo gol e di non chiudere una partita che al minuto 67 si riapre grazie a un rigore perfetto di Perotti, as usual, decretato dal VAR dopo un fallo di mano di Alex Sandro. 

Nel frattempo, Danilo e Higuain per Ramsey e Dybala. 

La Juve non si aspettava più un finale di gara così; la Roma almeno in parte fa leva sul tentativo di ritorno agonistico. 

Finisce così? Purtroppo sì, con pessime notizie nel frattempo giunte circa le condizioni di Nicolò Zaniolo. 

Note a margine: troppi giocatori della Roma, per dirla con Serse Cosmi, hanno il “tiro dello zero a zero”. 

Se fossimo l’ipotetico bambino che viene allo stadio per la prima volta, ci dispiacerebbe trovare la Roma in blu e la Juve che sembra il Bari. Ma forse siamo anziani. 

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