RASSEGNA STAMPATOP

Pallotta: “Vendo ma come dico io”

(IL TEMPO) Le verità di Pallotta. Il presidente prova a rimettere ordine nell’universo Roma, tanto per cambiare, tormentato: la trattativa saltata con Friedkin, la porta lasciata aperta a chiunque voglia comprare la Roma, la chiara percezione di un proprietario stanco e demotivato, il rimpianto dello stadio. L’annunciata intervista al patron giallorosso è stata pubblicata ieri pomeriggio sul sito del club, priva (o depurata?) da qualsiasi accenno a Petrachi. Il direttore sportivo, che potrebbe essere accompagnato alla porta e sostituito da De Sanctis dopo la lite via sms con Pallotta, ieri ha trascorso la giornata a Trigoria insieme agli altri dirigenti Fienga e Baldissoni, che dovevano sottoporsi ai tamponi per il Covid-19 insieme a tutti quelli che circondano la squadra: Petrachi non intende dimettersi, va avanti da separato in casa e se voleva un segnale da Boston non lo ha ricevuto.

Di tutto il resto, invece, ha parlato eccome Pallotta. “Il gruppo Friedkin si è avvicinato a noi lo scorso autunno – racconta Pallotta – e verso la fine dell’anno stavamo iniziando a trovare un accordo. Abbiamo approfondito i dettagli, nei quali spesso si nascondono le difficoltà, ma dopo le modifiche apportate dai loro avvocati e banchieri, l’offerta ha iniziato a trasformarsi in qualcosa di sempre meno appetibile sia per la Roma sia per il nostro gruppo di investitori. L’ultima offerta semi-concreta non era minimamente accettabile”. Dopo lo stop alle attività per il coronavirus, la valutazione data da Friedkin alla Roma è scesa da oltre 700 milioni a 575, dai quali togliere i quasi 300 milioni di debiti e 85 milioni che il magnate di Houston avrebbe voluto “spostare” sull’aumento di capitale: a Pallotta e soci ne sarebbero rimasti circa 180 a fronte degli “oltre 400 milioni investiti di cui più di 70 sul nuovo stadio, senza mai prendere un centesimo”. Ora, con il deal saltato, i dirigenti si lamentano perché il club ha bisogno di nuova linfa e i tifosi invocano la cessione al più presto. “Non sono sicuro se le persone sconvolte capiscano come si costruisce un accordo del genere – prosegue Pallotta – ma non funziona con il seller-financing (prestito del venditore, ndr). Se voglio comprare una casa non mi aspetto che il venditore riduca il prezzo richiesto per coprire i costi di tutte le ristrutturazioni”.

Pallotta nei mesi scorsi aveva già messo in discussione l’effettiva capacità finanziaria di Friedkin di chiudere l’operazione. Ora lo dice in pubblico, suscitando ovviamente fastidio a Houston: “Se il gruppo Friedkin avesse i soldi e volesse avanzare un’offerta tale da essere ritenuta accettabile da tutti noi per la Roma, lo ascolteremmo”. Insomma la società resta in vendita: per la prima volta da quando guida il club Pallotta lo dice apertamente. “Abbiamo persone che continuano a contattarci e noi dobbiamo ascoltarle. Invecchiando sto pensando al futuro del club e vorrei lasciarlo in mani solide. Vorrei qualcuno che permetta alla Roma di poter competere nei tornei più importanti ai più alti livelli”. E’ quindi l’ammissione che con l’attuale proprietà questo non sarà possibile. Anche perché il progetto prevedeva la costruzione del nuovo stadio. “Avremmo dovuto giocarci la prossima stagione – ricorda Pallotta – forse ci stiamo avvicinando all’approvazione ‘davvero finale’, ma quante volte l’ho detto?”.

Nel frattempo c’è un mercato da condurre e un bilancio da aggiustare: la Roma ha in mano Pedro, e vicina alla conferma di Smalling e tratta quella di Mkhitaryan ma deve vendere il più possibile, cercando di non dover sacrificare Zaniolo e Pellegrini. “Molto può dipendere da potenziali investimenti nel club – sottolinea Pallotta dando un’altra notizia – nessuna società al mondo sa come andrà il mercato, dobbiamo fare la cosa migliore per la Roma”. E la continuità aziendale vale più di qualsiasi calciatore.

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