RASSEGNA STAMPA

Pallotta: “Ecco perché sono scappato da Roma”

(IL TEMPO)

LA PENNA DEGLI ALTRI06/04/2021 07:55

Pallotta: «Ecco perché sono scappato da Roma»

IL TEMPO (A. AUSTINI) – Più che un’intervista, è un instant book. Nove anni di As Roma riassunti in una ventina di fogli A4, James Pallotta lascia il suo testamento giallorosso a The Athletic, la rivista online sportiva americana, che raccoglie le confessioni dell’ex presidente. Nove anni di gestione, una valanga di milioni investiti come mai nessuna proprietà ha fatto nella storia del club, 80 dei quali destinati al progetto di uno stadio che non vedrà mai la luce. Tanti campioni acquistati, ma quasi sempre rivenduti perché se si decideva di rispettare le regole del fallimentare Fair Play Finanziario della Uefa era impossibile fare altrimenti, non avendo nel frattempo l’opportunità di generare ricavi con un impianto di proprietà. A forza di comprare e cedere, la Roma è diventata forte, ma mai abbastanza per battere la Juventus. E allora, quello zero nella casella dei titoli vinti, è diventato una condanna per Pallotta. Il presidente più innovativo e per certi versi geniale della storia, ma tra i più odiati di sempre da gran parte dei tifosi. Soprattutto dall’anima tradizionalista, che non si è mai sforzata di capirlo. Come lui non ha mai fatto abbastanza per spiegarsi meglio. Adesso Pallotta si guarda indietro e racconta, in primis a se stesso, perché è dovuto scappare da quella sorta di inferno che era diventata per lui la Roma. «Sono arrivato a un punto – spiega parlando dei suoi ultimi giorni da presidente prima della cessione al gruppo Friedkin – in cui pensavo: “perché sto spendendo il mio tempo per andare laggiù e stare pochi giorni? Quando rifletto sugli anni che ho passato come presidente prima di vendere il club, mi rendo conto che quasi il 15% della mia vita è associato alla Roma. Adesso, mentre ripenso al mio tempo trascorso alla guida del club e interagisco con i tifosi su Twitter, la mia unica frustrazione è che alcune persone non si rendono conto di quanto amassi la Roma, di quanto ho lavorato duramente per portarla al successo e quanto tempo ho dedicato a cercare di farla funzionare». A fine febbraio i Friedkin hanno annunciato l’abbandono del progetto a Tor di Valle. Il sogno di Pallotta è stato spazzato prima dalla diabolica burocrazia romana e dalle lotte di potere, poi dalla Roma stessa, che punta a costruire uno stadio più piccolo, su un terreno pubblico, senza doversi accollare i costi delle infrastrutture. Nell’area del vecchio ippodromo sarebbe nato un qualcosa di molto più grande. «Faceva male non poter avere uno stadio nuovo, era necessario costruirlo per poter restare stabilmente tre le prime 10-12 squadre del mondo. Avevamo un sacco di grandi sponsor in attesa – rivela un malinconico Pallotta – la Coca Cola era una di questi e sono andato ad Atlanta a parlare con loro. Con alcuni parlavamo dei diritti sul nome dell’impianto e ci avrebbero dato 15-20 milioni l’anno solo per quello. Avevamo una grande schiera di partner che volevano essere coinvolti, probabilmente c’erano 100 persone che mi hanno mandato un’email dicendo: “non vedo l’ora che venga costruito lo stadio. Voglio sposarmi lì. Siamo arrivati al punto in cui abbiamo pensato di metterci un impianto di cremazione o un cimitero per le persone che vogliono che le loro ceneri siano sparse sul campo». Non solo una casa per le partite della Roma, ma un polo di intrattenimento che, secondo il business plan degli americani, avrebbe portato, una volta a regime, ricavi da 100 milioni l’anno nelle casse del club, contro la ventina scarsa che si ottiene dalle partite all’Olimpico o i 65 guadagnati dalla Juventus con l’Allianz Stadium. «Sarebbe stata la struttura più utilizzata nell’Europa del Sud. L’Olimpico non va bene per i grandi concerti, se ad esempio volessero suonare a Roma i Rolling Stones vorrebbero portare più di 100 camion con le varie attrezzature per il loro tour e non c’è posto per farli entrare. Quindi non avrebbe un senso a livello economico. Se avessimo costruito il nostro nuovo stadio non avremmo fatto pazzie per i prezzi dei biglietti, ma ci sarebbero stati dei palchi privati e avremmo dato la possibilità di poterli utilizzare per tutti gli altri eventi come i concerti a chi li avesse comprati. Sapevamo di avere enormi opportunità di generare ricavi e sarebbero stati reinvestiti nella squadra».

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