STORIE GIALLOROSSE di Franco BOVAIOTOP

STORIE GIALLOROSSE… Bacci, abbracci e … scaramanzie

Di Franco BOVAIO – Roma è zona bianca e così la regione che le sta intorno (e che non ci va mai di nominare). Ma per ora niente baci e abbracci. Aspettiamo ancora un po’. Nell’attesa che venga quel giorno vi parliamo di un giocatore che queste due parole, soprattutto la prima, lo ricordano molto: Guglielmo Bacci.

Nato a Torino il 15 aprile del 1955 è cresciuto nel settore giovanile della Roma e con essa ha esordito in A il 25-1-1976 in Roma-Inter 1-1. In giallorosso ha poi giocato per 2 stagioni (1976-77 e 1977-78) collezionando 16 presenze e un solo gol nel in campionato, fatalità segnato proprio all’Inter, la stessa squadra del suo battesimo in A. Ma a Milano, il 23-4-1978, nel giorno in cui la Roma fu sconfitta per 4-2.

“La Roma è stata una bellissima parentesi della mia vita, tanto che ancora oggi vivo nella Capitale, dove sono cresciuto e mi sono affermato nel calcio che conta – ci ha detto Bacci in occasione della presentazione del libro sul terzo posto del 1974-75 scritto per l’Associazione Lupa Giallorossa – dunque alla Roma posso dire solo grazie. Così come a Nils Liedholm, che ha creduto in me e che era un vero maestro di calcio, che ti insegnava come si deve giocare a pallone partendo dai fondamentali. Da grande giocatore qual’era stato, in allenamento si metteva vicino a noi più giovani e ci diceva come si doveva toccare la palla, come dovevamo fare il passaggio, come lo stop, come il tiro. Poi lui era famoso per la scaramanzia e l’episodio del loden, di cui purtroppo (per me) sono stato protagonista, ne è il classico esempio. Negli spogliatoi, dopo una partita, per sbaglio mi sono messo il suo loden anziché il mio, anche perché più o meno avevano la stessa taglia e quando ho messo le mani nelle tasche mi sono accorto dell’errore, perché ho tirato fuori ogni sorta di amuleto. A quel punto ho capito che si trattava del loden del mister e non del mio, ma ormai avevo commesso uno sbaglio che per lui era imperdonabile. Perché chi è scaramantico tiene sempre ben nascosti i suoi amuleti e non vuole che qualcuno li scopra. Così, da quel giorno, non ho giocato più, tra l’ilarità dei miei compagni di squadra”.

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