A PRIMA VISTACAMPIONATOTOP

ROMA-LAZIO. A PRIMA VISTA di Paolo MARCACCI

Quando l’attesa finisce, il vento della realtà sgombera il cielo dalla foschia delle chiacchiere: la pretattica verbale, le ipotesi di formazione, i calcoli a metà tra tattici e scaramantici. Il derby è un -apostrofo biancorossogialloazzurro tra un prima e un dopo che a volte sembrano prescindere da quanto si consuma in campo. 

Magnifiche le scenografie, diversamente identitarie. 

Rispetto reciproco e ci si chiede, dopo i minuti iniziali, chi stia aspettando chi, perché prevale un equilibrio quasi sonnolento viste le consegne dal punto di vista tattico, con le uniche vibrazioni, se così si può dire, provocate dai cartellini gialli per Mancini e Lazzari. Proprio per questo, pesa come un macigno la distrazione di Ibanez, bocconcino succulento per Pedro, che ha il settantacinque per cento del merito del vantaggio laziale, il quale offre la firma dello zero a uno a Felipe Anderson.

La Lazio merita il vantaggio alla fine del tempo, perché ratifica il risultato parziale con un palleggio fluido che le consegna la trequarti, mentre la Roma involve da un agonismo poco lucido a un nervosismo autolesionista. 

Servono, a quel punto, i cambi spesso risolutori di Mourinho. Ma stavolta, forse, sono la delusione maggiore. 

La Roma aveva consegnato il vantaggio alla Lazio con un episodio delittuoso dal punto di vista tecnico; i giallorossi in sostanza non fanno nulla di realmente pericoloso per riprenderselo. Opaca la produzione offensiva; sottoutilizzato Zaniolo; riconoscibile l’identità della Lazio a fronte di una Roma sempre più involuta quanto a fraseggio e lucidità nei venti metri finali. Finale con lanci lunghi e improduttivi.