ACCADDE OGGISTORIE GIALLOROSSE di Franco BOVAIO

STORIE GIALLOROSSE. Dino Dino Viola alè … per sempre

Di Franco BOVAIO – Da quel 19 gennaio del 1991 questo è sempre un brutto giorno. A me, poi, il 19 è un numero che non piace per niente. Perché di 19, ma di novembre e di un altro anno, se ne è andato anche mio padre. E quando arrivano questi due 19 della mia vita vivo sempre delle giornate tristi. Perché capita sempre qualche cosa che me le fa diventare tristi. Vedi i casi della vita.

Quando se ne è andato Dino Viola, per noi che grazie a lui eravamo usciti dalla prigionia del sogno, è stata la chiusura dell’epoca d’oro della nostra, della sua, Roma. Quella nella quale ci aveva tolto dalle sabbie mobili della classifica e ci aveva ridato la dignità di essere la Roma. Una squadra che per tradizione, censo e risultati sportivi è sempre stata tra le prime cinque d’Italia. Spesso al quinto posto, è vero, ma anche al secondo, tanto che, tolte le tre grandi del nord, è quella delle altre che è arrivata più volte seconda. E lui questo diceva: “Dobbiamo stare sempre tra le prime tre, perché non si può vincere lo scudetto tutti gli anni. Ma se sto sempre tra le prime tre è più facile che accada”. E con lui la Roma ha vinto ed è stata spesso tra le prime tre, sfidando quella Juventus alla quale tutti facevano la riverenza, dalla Tv (che era solo di Stato) agli arbitri. Viola non lo sopportava e quando coronò il sogno di diventare presidente della Roma decise che era giunto il momento di cambiare il sistema.

Sigaretta in mano, sorriso beffardo e frasi in perfetto stile “dico non dico” tutte chiuse con la domanda “Giusto?” (il violese) divennero le sue armi letali contro l’ingessato pallone italico. Che cambiò molte delle sue abitudini e delle sue norme grazie alle sue battaglie. Perché se c’era da fare una battaglia per cambiare il calcio e bisognava portarla avanti contro tutto e tutti lui era il primo a farla e a vincerla.

L’unico progetto che non è riuscito a realizzare è stato quello dello stadio dell’A.S. Roma. Un’idea vincente con la quale anticipava i tempi e che avrebbe realizzato se sulla sua strada non avesse trovato troppa burocrazia e interessi avversi. Basti dire che, dopo la bocciatura della soluzione della Magliana, chiese alle istituzioni di scegliere loro un’area dove edificarlo, ma non ricevette altra risposta che il no. Come no gli avevano detto quei maledetti rigori che restano legati al punto più alto raggiunto dalla Roma in tutta la sua storia.