RASSEGNA STAMPATOP

Non a caso lo chiamano Special One

(IL TEMPO) Ti può piacere o no. Puoi pensare di lui tutto ciò che vuoi, detestarlo per quel modo di fare altezzoso, spesso sopra le righe, o non amare il suo modo di stare al mondo e fare calcio. Il bel gioco è un’altra cosa, almeno in questa fase della sua carriera: anche perché forse mai come ora si è ritrovato a dover fare di necessità virtù. Ma detto questo non si può negare che Mou sa come ci si muove in questo sport, sa cosa è il calcio e come funziona. Sa quali tasti premere, come far accendere le squadre e come riuscire a tirar fuori il meglio da ognuno. Vero, probabilmente le sue squadre non esprimono quel calcio moderno bello da vedere, fatto di velocità e attacchi a testa bassa. Però nessuno come lui riesce a trasformare un gruppo di giocatori (anche non top player) in una squadra vera. E non è euforia post Leverkusen, ma la cronaca della sua storia sportiva: e forse lo chiamano Special One anche per questo.

La semifinale di ritorno col Bayer ha ricordato un calcio antico, fatto di non gioco, cuore e difesa? Vero, ma lui l’ha giocata e portata a casa conquistando una finale meritatissima, gli altri hanno criticato da casa… è così, piaccia o no. Ha vinto lui a prescindere dal verdetto ungherese, buttando giù dal trespolo i gufi. Difficile immaginare quale possa essere il futuro, così come capire se proseguirà l’avventura a Roma e probabilmente su questo peserà non tanto l’esito della finale di Budapest quanto il feedback con mister Friedkin. Se il club dovesse decidere di andare avanti con lui, gli dovrà dare carta bianca se vuole fare il tanto ambito salto di qualità: perché due finali di coppa europea in due anni (a Roma) non arrivano per caso… un po’ come i soprannomi.