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DIVAGAZIONI ROMANISTE… E’ la Roma “portoguesa”

di Franco BOVAIO – “E’ la Roma brasileira la la la” cantava Antonio Ciacci, meglio noto come Little Tony, nella primavera del 1983 per celebrare lo scudetto di Falçao e dei suoi compagni. E chissà che alla fine di questa strana stagione condizionata dal Covid (come lo sono le nostre vite a metà) qualche cantante attuale, romano e romanista come era lui (che ci ha lasciato nel maggio del 2013, trent’anni dopo l’uscita di quella canzone giallorossa) non si ritrovi ad emulare il compianto Little con il ciuffo per celebrare un bel successo della “Roma portoguesa”. Magari incidendo un vinile sull’esempio di quello che il nostro pubblicò per l’etichetta Alpharecord trentasette anni fa!

Ovviamente ce lo auguriamo con tutto il cuore e ovviamente è stata la scelta del nuovo general manager Tiago Pinto, che ora lavorerà insieme ai connazionali dello staff tecnico, Fonseca in testa, ad averci ispirato il parallelo tra questa Roma “portoguesa” che sta prendendo corpo e quella “brasileira” dell’83. Anche perché, in fondo, brasiliani e portoghesi parlano la stessa lingua, pure se con inflessioni diverse tra i lusitani che sono di lingua madre e i brasiliani che l’hanno acquisita dopo essere stati colonizzati da quelli nei secoli in cui il Portogallo (come la Spagna, l’Inghilterra, l’Olanda e la Francia) mandava i suoi velieri in giro per i mari del mondo.

Del trentaseienne Tiago Pinto, manager enfant prodige del Benfica, potete leggere ovunque, inutile ripetere le sue tante qualità. Più giusto sottolinearne una: è il re delle plusvalenze. Cosa che serve molto, oggi, alle società di calcio per finanziarsi, ma che non deve significare, per la Roma, che è arrivato un altro bravo a scovare i campioni per poi cederli e monetizzare. Perché di personaggi del genere, alla Roma, negli ultimi tempi ne abbiamo avuti fin troppi. Se lui, come si dice, è uno bravo a trovare i giovani campioni, ben venga. Ma che poi questi restino e, intorno a loro, si costruisca una squadra in grado finalmente di tornare a vincere qualcosa. Solo in questo caso potrà davvero diventare la “Roma portoguesa” di cui abbiamo scritto all’inizio.

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