A PRIMA VISTATOP

LAZIO-ROMA. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI

Atmosfera gelida, c’entrano poco le temperature piuttosto rigide della serata. È che il derby e l’Olimpico deserto messi l’uno accanto all’altro costituiscono un ossimoro, il più indigesto. Motivazioni calde, al contrario, indipendentemente dalla sponda del Tevere dalla quale si sbircia quella opposta: Lazio alla ricerca, diremmo spasmodica, della più simbolicamente macroscopica delle conferme della propria risalita; Roma protesa verso un ulteriore auto esame in tema di autostima, dopo gli ultimi, rimontanti venti minuti contro l’Inter. Ambizioni al momento differenti, almeno in parte; la medesima fame agonistica sia per gli uomini di Inzaghi che per quelli di Fonseca. 

La Roma è quella confermata; con Smalling la cui articolazione, evidentemente, ha meritato la fiducia di Fonseca, perlomeno all’inizio. 

Il primo tempo sembra iniziare all’insegna di un equilibrio nella tattica e nei duelli che pare destinato a protrarsi; tutto questo prima che inizino una serie di scelte calcisticamente suicide nella metà campo della Roma, Ibanez in testa (ma non solo lui, soprattutto per la cervellotica gestione della palla in occasione del gol di Immobile). 

La Roma si ritrova col morale frantumato, col possesso palla che traduce un predominio solo statistico e conveniente agli uomini di Inzaghi; con Mkhitaryan ingabbiato alla perfezione e depotenziato per tutto, o quasi, ciò che costituisce il suo apporto consueto alla fase offensiva. 
Detto ciò, il secondo è da annullare, a meno che Caicedo non sia diventato trasparente. 

Secondo tempo: pronti via e Pedro per Veretout. Pellegrini in mediana. 
Giunti ai due terzi di gara, è cambiato ancora poco: Lazio più lucida, efficace in verticale, persino troppo rilassata quando arriva dalle parti di Pau Lopez.

Cristante per Villar. 

Cambia poco, fino al fatto che una Lazio sempre più agevolata nella gestione dei ritmi trova il terzo gol: cassazione su un concetto, fondamentalmente: la Roma ha visto il derby sfuggirle di mano alla prima contrarietà, non lo ha più riacciuffato. Non è mai sembrata in grado di farlo. È chiaro che stasera sono tutti colpevoli, al di là degli episodi e di una lettura arbitrale. 

Fonseca, per chiudere, non può non avere colpe, perché indipendentemente da come l’abbia preparata, non ha corretto in nessun modo la lettura in corso d’opera. Va detto, ma non vuole essere un’attenuante stasera, che i suoi giocatori di maggior spessore non gli hanno dato una mano, a parte forse Pedro, entrato con il piglio di uno che ha un’altra caratura. 

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