STORIA DI IERI di Diego AngelinoTOP

LAZIO-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…

Se non ci fossilizziamo esclusivamente sul naturale dolore per la sconfitta, noteremo che anche ieri ci sono stati spunti positivi di crescita, per una Roma penalizzata oltremodo dalla direzione arbitrale.

Perché i giallorossi perdono ma facendo, nel bene o nel male, molto da soli. A partire dalla rete dell’1-0 laziale, dove c’è sì la qualità degli interpreti che la confezionano, ma anche l’incredibile disattenzione dei romanisti. 

Che non sono invece disattenti ma hanno di che recriminare in occasione del 2-0, poiché l’azione parte da un evidente calcio di rigore non concesso a Zaniolo. Dal possibile 1-1 (o sempre 1-0, qualora mai il 22 romanista fosse stato in fuorigioco sul traversone di Cristante) al goal che cambia definitivamente il canovaccio tattico della partita. 

La Lazio già “ibrida” di questo inizio di stagione fa ancora un passo verso Inzaghi: recupero palla e contropiede, specialità della casa. Ma la Roma continua a fare la partita e non esce – come in altri momenti storici – dalla stessa: più circostanze offensive – potenziali e palesi, come il palo di Zaniolo – per riaprirla, che portano per forza di cose anche a rischiare il 3-0. 

Il 2-1 arriva su uno degli angoli ben battuti da Veretout, che hanno parecchio infastidito gli avversari. Si riapre il match nonostante un Rui Patricio incerto, un Vina in campo tutt’altro che al massimo, un Mancini non in giornata, un Abraham alla ricerca di qualche pallone giocabile, un Mkhitaryan più nel vivo del gioco da trequartista, ma colpevole di una ripartenza avversaria nel primo tempo e molle in occasione della palla persa che da il “La” al 3-1.

Ma la Roma, lo ripeto, c’è: anche perché Zaniolo si libera dei fantasmi che ancora pervadono comprensibilmente la sua mente e crea grattacapi agli avversari finché le forze lo sostengono, guadagnando il rigore del 3-2 e sfiorando, con un gran destro, il terzo goal.

Che magari non sarebbe servito se la Lazio avesse giocato in 10 buona parte della ripresa, vista l’espulsione mancante di Leiva: Sarri capisce il pericolo scampato e, poco dopo la gomitata a Mkhitaryan, toglie l’argentino per inserire Cataldi. Inutile sottolineare la differenza di valutazione con quanto accaduto a Pellegrini (che quasi non commise fallo) giovedì scorso.

Mourinho: ribattezzato “Muorinho” dal tabellone laziale (un caso?), non sbaglia nulla nella mediaticità all’interno della sconfitta. Dal “calma” in favore di telecamera dopo l’1-2, al pallone raccolto in campo prima dell’ammonizione ingenua di Cristante; dal discorso a fine partita sul terreno di gioco, all’attacco agli arbitri; dalle urla contro il delegato della Lega, poiché gli era impedito – per scelta organizzativa laziale – di parlare direttamente con i giornalisti in sala stampa fino ai “complimenti” per la vittoria a Parolo, pagato tramite DAZN anche dai romanisti ma beccato a festeggiare con gli ex compagni al termine del match.

Il Mourinho tattico? I centrocampisti sono quelli. Villar è un giocatore che non vede; Diawara a Napoli non giocava né con Sarri, né con Ancelotti; Smalling, per problemi fisici, fino a ora non è mai stato un opzione per un eventuale passaggio a una difesa a 3. La Roma sta lavorando per essere una squadra, avendo raccolto il portoghese delle macerie tattiche. 

I giallorossi non lottano per lo scudetto, ma per provare a rientrare nell’Europa che conta. A questo lavora Mourinho che, anche ieri, nella sconfitta ha seminato, in attesa di un raccolto che non può essere immediato.

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