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RIVISTA LA ROMA – L’intervista: Fabio CARESSA “Ogni Benedetta Domenica”…

Questo mese siamo andati a trovare il condirettore di Sky Sport Fabio Caressa: commentatore televisivo e conduttore, ci ha raccontato i suoi inizi dal ‘Piccolo Gruppo’ di Michele Plastino fino ad arrivare ad essere un punto di riferimento della più importante emittente satellitare in Italia.

Come sempre, ecco una anticipo per i nostri lettori multimediali dell’intervista fatta in esclusiva dalla nostra ‘Punta di Diamante’ Alberto Mandolesi

LA ROMA 362 (Novembre 2017): Fabio CARESSA
“Ogni benedetta Domenica” di Alberto MANDOLESI

Cinquant’anni, giornalista affermato, brillante telecronista e papà modello. Un Mondiale alle spalle, quello del 2006 vinto dall’Italia, che gli cambia la vita perché nato sotto il segno del suo nome di battesimo: Fabio. Come Fabio Cannavaro capitano di quella nazionale, come Fabio Grosso che segna l’ultimo e decisivo rigore contro la Francia, e come appunto Fabio Caressa che, con un perfetto mix tra enfasi e mestiere, lo racconta attraverso i canali di SKY Sport a milioni di italiani i quali, coinvolti e riconoscenti, ricambiano regalandogli grande popolarità (un recente e attendibile sondaggio prova come l’87% degli italiani lo conosca).
Caressa fa parte della generazione di giornalisti romani che, partendo dalla gavetta, ha saputo farsi strada meritando sul campo la stima e la considerazione di tutti, e diviso in uguale misura tra l’attenzione nei confronti delle ricette di sua moglie Benedetta e il meravigliato stupore per i cucchiai di Totti, arriva ogni domenica a sublimare questa dicotomia sentimental-sportiva quando, in piena concorrenza con la dolce metà, spartisce con successo gli ascolti dei telespettatori.

Come ti sei avvicinato a questo mestiere?
«Nel 1987 mi iscrissi al primo corso del “Piccolo Gruppo” di Michele Plastino, la scuola di giornalismo che aveva appena preso vita. Iniziai presto a lavorare per “Calciomania”,
un programma che andava in onda su Canale 66, la sorella minore di Teleroma 56. Un giorno Michele mi prese da parte e mi disse: “Sono lieto di essere proprio io colui che ti inizierà a questo lavoro. Ho avuto una visione. Un giorno lavorerai in una televisione importante e farai concorrenza al mio ‘Goal di Notte’”. Sul momento non mi sembrò possibile, anche perché allora nei grandi network non esistevano programmi notturni sul calcio, e quella premonizione mi passò di mente. Solo più tardi capii che aveva ragione, perché la sua visione era il Posticipo di Campionato, le partite della domenica sera che iniziarono nel 1993».

Da ragazzo volevi fare il giornalista in generale, o puntavi proprio a fare le telecronache?
«Ti potrà sorprendere, ma volevo fare l’inviato di guerra. E ci sono riuscito in un secondo tempo, nel 2010, quando fui il primo giornalista italiano associato alle Forze in Afghanistan. È stata un’esperienza unica e irripetibile, durata 21 giorni, che mi ha colpito profondamente. In quell’occasione ho potuto capire con quanta serietà e quanta professionalità lavorino i militari del nostro Paese».

(…)


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