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ROMA-BARCELLONA SOTTOPASSAGGIO. A VESTIRSI DA LAZIALI SI FINISCE SEMPRE MALE.

di Paolo MARCACCI – Non è tanto il primo, quello che conta; sarebbe il secondo a fare la differenza, ad aprire la partita come una cozza che potrebbe diventare indigesta per la supponenza istituzionale dei catalani, per il loro palleggio tutt’altro che ostentato, stasera. L’occasione per segnarlo, il secondo, capita a Schick sulla fronte, che apre troppo la girata; poi sul piede in una giungla di cavigliere e parastinchi. Però ci si trova, entrambe le volte, presente dove deve essere.

Il primo era arrivato subito, rasentando la perfezione dei tempi, perché sei minuti sono quasi un’ “esultatio praecox”, quando si fa l’amore davanti ad altri 65.000: lancio di De Rossi coi giri contati, Dzeko sceglie il corridoio, di destro la rende morbida, di sinistro la scrive sul tabellone quasi incredulo. Uno a zero, cioè vita come sinonimo di speranza, partita che comincia davvero, che così consuma la sua prima metà.
Fa la boccuccia a culo di gallina, il francese Turpin, quando minaccia Fazio prima e dopo il cartellino; quando sanziona giustamente Juan Jesus che abbatte Messi; quando fa il faccino da duro ogni volta che De Rossi tenta di placare gli animi. Non facciamocela rovinare da lui, almeno questo.
Non c’è stato predominio territoriale dei marziani; ha battuto corner solo la Roma, quattro. Statistiche fini a se stesse, certo, ma dicono che i fenomeni, stasera mimetizzati da laziali, dovranno continuare a picchiare – come fanno Sergi Roberto e Busquets -, più che palleggiare, per portarla a casa.
Forse ora ogni minuto va interpretato per quello che se ne può ricavare, senza badare al suo trascorrere; tanto ha cominciato il Barcellona, appena tornato in campo, a sperperarne il più possibile.
Dormono troppi felini, nella savana della tre quarti, perché noi li si svegli nominandoli; meglio concentrarsi sul pressing di Strootman, sulle incursioni di Schick, su un rubinetto da cui gocciolano emozioni che a un certo punto fa scrosciare il rigore su Dzeko, abbattuto dall’ex signor Shakira, che dovrebbe salutare qui e invece rimedia solo il giallo. Polvere di gesso dal dischetto e il tuono del raddoppio, il capitano aveva la traiettoria scritta nei pensieri: De Rossi, due a zero.
Dzeko è uno e trino, ce n’è più d’uno in campo, questo è certo.
Minuto 63, Messi sgambetta Kolarov: giallo per il mondo alla rovescia.
Per ogni rimessa di Ter Stegen ora ci vuole più tempo che per mettere d’accordo Salvini e Di Maio; Nainggolan al minuto 68 si coordina in area come se Semedo davanti non ci fosse: palla a lato ma la scelta è indice di grande lucidità, nel momento topico.
Minuto 73: Ünder per giocare a flipper, nel finale. Fuori Schick, applaudito. Nel mentre, giallo per Suarez, più indisponente del solito.
Nel minuto seguente, Alisson blocca il sinistro di Messi, oltre alle nostre coronarie.
Carezza di Juan Jesus a Suarez, che resta più sdraiato di Paolina Borghese; ha tempo di entrare El Shaarawy, al minuto 77, per Nainggolan.
Due giri di lancetta dopo, scopriamo che Ter Stegen ha tre mani, per come respinge il sinistro in spaccata di El Shaarawy, su cross da destra di Florenzi.
André Gomes per Iniesta, a 10′ dalla fine. “Mamma mia!” pensiamo sia noi che loro.
Minuto 82: Manolas è Dio, greco. Perché quella è la capoccia di Dio, che gira il corner oltre le colonne d’Ercole delle più ragionevoli ambizioni. Come si dice tre a zero? Non ero preparato in italiano, figurarsi in catalano. Ma fa bene Di Francesco a richiamare tutti, maledicendo le anticipate esultanze.
Alcàcer per Busquets, nel Barça, che ora sussulta in area romanista. Dateci due cuori, uno ce lo stiamo giocando.
Recupero? 4′, onesto.
Come li trascorriamo? Apnea non rende l’idea, rima a parte, Roma che riparte.
Ognuno sia il cardiologo di se stesso, ora, perché non è più una questione di lancette, ma di giugulari da trattenere.
Fischia, francese, che ti farai amare a vita.
Finisce così: in semifinale. Il Barcellona scopre che a vestirsi da laziali si finisce sempre male.

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