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ROMA-BENEVENTO. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI

Le premesse della vigilia, lo ribadiamo prima del fischio d’inizio, non sono soltanto dichiarazioni di rito: col Benevento bisogna fare attenzione e, paradossalmente, non sono fondamentali i sei punti, peraltro meritatissimi, conquistati dai campani all’inizio di questa per loro storica Serie A, per la nostra tesi. Il discorso gira più che altro attorno alla duttilità mostrata dagli uomini di Inzaghi in chiave tattica, soprattutto per quanto riguarda la disposizione offensiva: dal quattro – tre – tre al quattro – tre – uno – due passando per il quattro – quattro – due. E poi agonisticamente non muoiono mai, rispecchiando in ciò tutta la tempra che ben si ricorda del loro tecnico da giocatore.

Tenuto conto delle premesse, al momento in cui Ayroldi, figlio e nipote d’arte, fischia l’inizio all’Olimpico, il risultato a disposizione di Dzeko e compagni è uno soltanto, perché non sono ammessi ulteriori ritardi in classifica.

Nel frattempo, hanno fatto rumore le parole di Fonseca: col sorriso, con un tono pacato, ma ha detto in portoghese e ribadito in italiano che, vada come vada, quantomeno lui non morirà aziendalista, per quanto riguarda la sua parabola nella Capitale.

Non c’è Kumbulla, che dovremmo vedere giovedì a Berna; gioca Cristante basso in costruzione, col consueto sacrificio e la consueta abnegazione, che speriamo un giorno vengano messe a bilancio nel giudizio di questo giocatore. Per il resto, la Roma è quella che ci si aspettava.

Primo tempo quasi sulle montagne russe: inizio accidentato, tra rimpallo mortifero e concorso di colpa, Santon in testa, quando Caprari si accentra in occasi dello zero a uno. Poi, la progressiva incidenza delle individualità: Spinazzola che porta a sviluppare la manovra quasi sempre sul suo lato, Mkhitaryan sempre acceso con la qualità che fa brillare l’assist per Dzeko, Pedro che oltre a essere il grande giocatore che conoscevamo si mostra uomo squadra nelle sfumature: quando segna, con una gran conclusione, il gol del pareggio, per prima cosa ringrazia Pellegrini per l’assist, indicandolo. Cose da leader.

E allo scadere del tempo, ci sarebbe il tre a uno di Mkhitaryan, purtroppo annullato come il bell’assist di Cristante.

Nel frattempo, la disposizione difensiva è tornata a quattro.

Strano secondo tempo, di una strana partita: Veretout fa i danni in area, Mirante intercetta il rigore di Lapadula ma poi quest’ultimo ribadisce in rete; poi, tanto Benevento in pressione territoriale e qualità romanista di rimessa: così arrivano il tre e il quattro a due, col rigore di Veretout e la doppietta di Dzeko, tutte azioni fiorite da transizioni romaniste. Bene, molto bene per i tempi di gioco Villar, soprattutto per la qualità del passaggio in occasione del quarto gol.

Arriva anche il momento di Mayoral, nella girandola dei cambi: Fonseca deve pensare alle tossine della tornata internazionale e al giovedì di coppa che si profila. Per tutti questi motivi, era troppo importante portarla a casa, stasera: missione compiuta, con più qualità che quantità, come dimostra la ciliegina depositata da Carles Perez.

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