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QUELLA VOLTA CHE ALDAIR DIVENNE PLUTO di Mimmo Ferretti

Pluto. E perché Pluto? “Perché basta guardarlo correre per capirlo… Non vi sembra Pluto?”, spiegava, e spiega ancora, Giuseppe Toti, il giornalista inventore di quel nomignolo passato alla storia. Aldair Nascimento do Santos, uno dei più forti e dinoccolati difensori di tutti i tempi, e non solo della Roma. Un gigante tecnico dal passo felpato. Uno spettacolo di calciatore, sempre fioretto mai sciabola. Forte, fortissimo. Tanta, tanta roba. Campione del mondo e campione d’Italia: serve altro? Ah, sì: la maglia numero 6 ritirata per anni in suo onore, prima di essere affidata a Kevin Strootman.

Per valutare la portata di un personaggio, talvolta basta porsi una domanda facile facile: quante volte avete sentito dire “Aldair? Beh, in fondo non era così bravo”? Mai, da parte nostra. Mai sentito qualcuno, tifoso o critico onesto, parlare di Aldair in termini negativi. Mai. Anzi, sempre elogi (meritati) a dismisura e applausi a scena aperta. Un uomo che ha messo realmente tutti d’accordo. Un fuoriclasse mai sufficientemente riconosciuto come tale.

Un uomo dalle mille avventure, inoltre. Un esempio? Il 25 novembre del 1990, cioè pochi mesi dopo il suo arrivo nella Capitale dal Benfica, Aldair mette a segno il primo dei suoi 14 gol giallorossi. Un passo indietro, prima: Aldair venne preso dal Benfica grazie al lavoro del duo Mascetti-Jacomuzzi e alla supervisione amichevole di Sven Goran Eriksson, che lo aveva avuto con sé in Portogallo. La Roma, capitana dal presidente Dino Viola, aveva messo gli occhi addosso a Ricardo Gomez, l’altro difensore centrale brasiliano del club di Lisbona, ma al momento di tirare le somme venne ascoltato il parere di Svennis, ex allenatore della Roma e amico della famiglia Viola, che non ebbe dubbi: prendete Aldair. E mai suggerimento fu così prezioso.

Domenica 25 novembre 1990, dicevamo. Stadio Olimpico. la Roma, reduce da una cinquina presa in faccia in casa della Juventus e in attesa della gara di Coppa contro il Bordeaux, ospita il Bologna. Obbligatorio vincere, per cancellare la tremenda mazzata di Torino e per (ri)prendere la strada del sorriso con il nuovo allenatore Ottavio Bianchi.

Partita complicata, però. Vantaggio della Roma con Berthold, poi pareggio dell’ex laziale Poli. Olimpico più arrabbiato che sorpreso. Bianchi, all’inizio della ripresa, modifica un po’ le carte in tavola: fuori Berthold, dentro Muzzi. Era già entrato Desideri al posto dell’infortunato Rizzitelli. Qualcosa cambia, in meglio.

Aldair, in un contrasto aereo, si spacca la testa. Taglio vistoso sulla fronte, il dott. Alicicco e il massaggiatore Giorgio Cardoni gli incartano il capoccione e lo rimandano in campo. E Pluto alla prima occasione utile in area bolognese, da attaccante smaliziato più che da difensore di classe, segna di sinistro in scivolata su assist di Di Mauro, sotto la Sud, il suo primo gol da romanista per il nuovo vantaggio romanista. Il primo gol di Aldair, il secondo dei quattro (a uno) di giornata della Roma al Bologna dell’ex Gigi Radice.

Indimenticabile l’esultanza bambinesca del brasiliano, nonostante il turbante insanguinato per via di quel taglio da tre punti in piena fronte, dopo aver visto il pallone alle spalle di Cusin. Un sorriso degno di una pubblicità, le braccia allargate come a voler abbracciare il mondo e corsetta con saltello in direzione Tevere. “Ha segnato Plutooooo”, l’urlo fatto di gioia e di mezzo stupore che riscaldò (e rischiarò) il pomeriggio uggioso dell’Olimpico.

E pensare che la settimana prima, in casa della Juventus, aveva messo a referto un autogol.

Che belle storie…

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