BAYER LEVERKUSEN-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – Non mi ritrovo nel partito del “siamo usciti a testa alta”. Ho sempre detto che sogno di annoiarmi per 90’ o 120’ e poi vedere la Roma che manda ai pazzi avversari e voyeurs vari.
Non vedo sconfitte “costruttive” ma solo rimpianti, con un avversario sicuramente forte, di certo fortunato, atleticamente fin troppo spaventoso.
La differenza, a certi livelli, la fanno i campioni – che mancano – e i dettagli: la scelta di Karsdorp e i goal falliti da Azmoun e soprattutto Abraham, all’andata.
Il fatto che, conoscendo le criticità fisiche dei soliti noti, Zalewski sia dovuto entrare a freddo, anziché già preparato, al ritorno.
Dove, spiace dirlo, ma avanti 2-0 non si può mai, mai, prendere goal al 8’ dal termine, in quel modo.
La partita deve finire – direzione supplementari – una volta che Paredes mette dentro freddamente il secondo rigore di serata.
Perdendo tempo? Sì. Facendo “melina”
su angoli, rinvii dal fondo, rimesse? Assolutamente sì.
Anche perché davanti a noi – basti guardare gli atteggiamenti di Frimpong – non c’era proprio De Coubertin.
Pronti, via e la Roma è in palla: ma l’’evergreen di Spinazzola che si fa male in una semifinale, scombina i piani, come detto con Zalewski – e non Celik – che entra non pronto.
Cambi costanti di fascia con El Shaarawy per trovare la quadra, con Svilar – bravo e fortunato – a tenere in piedi la baracca.
Finché Azmoun – che non ne aveva azzeccata molte, fino a quel momento – si guadagna il rigore che riapre la partita.
Secondo tempo che inizia con Cristante vicino alla marcatura: meno clamorosa dell’opportunità per Lukaku dopo 3’ e di quella per Pellegrini di testa, dopo 16’, ma anche qui si poteva far meglio.
Ma chiedere a Cristante – da alcune partite stremato – qualcosa in più, ancora, sarebbe cattiveria pura.
La Roma comunque trova il modo di segnare, anche perché l’arbitro Makkelie – e il VAR Dieperink – fa il suo, concedendo il secondo penalty ai giallorossi.
Con lui/loro a Budapest, questa partita non sarebbe esistita: la Roma avrebbe vinto la coppa, fatto quindi la Champions e la statua di Mourinho campeggerebbe al posto di quella di Marco Aurelio.
Bove, Abraham e Smalling: erano le scelte più giuste? Fatto sta che da un angolo nato anche da una palla persa in attacco dal 9 inglese, il Leverkusen si regala la finale.
Svilar esce male, Smalling soffre il fisico di Shick, Mancini si ritrova la palla addosso senza aver l’uomo da marcare accanto.
Il 2-2 è solo statistica per il Bayer, ancora imbattuto: la Roma ha ora solo la strada del campionato – o eventuale incroci con i destini europei dell’Atalanta – per raggiungere la nuova – ancor più ricca – Champions.
Sul profilo ufficiale del Friedkin Group, infine, sono subito apparsi i complimenti al percorso della Roma: non sarebbe stato male scrivere due righe anche un anno fa, dopo Budapest, dopo lo scippo di una coppa.