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ANNO ZERO di Paolo MARCACCI

Gli spalti vuoti e l’erba immobile, senza i buchi dei tacchetti sul terreno, senza i fischi, le urla, gli insulti; senza i rimbalzi del pallone che ne chiamano sempre un altro, come le onde sulla spiaggia, dove ne arriva sempre una in più. La spiaggia di Cagliari, magari, dove il vento increspa l’acqua e tende le bandierine dei calci d’angolo allo stadio.

Forse è questa, la morte: un arbitro che al momento della chiamata non ti trova in testa al gruppo, col gagliardetto in mano, la fascia al braccio

O, forse, è questa la vita, sempre in bilico tra ciò che si aspetta e quello che si pensa non debba accadere mai. Sempre sulla soglia, s mia che ce ne accorgiamo, come quel gol a Udine, proprio Udine, che non si riusciva a capire se fosse al di là o al di qua della linea. Perché ognuno ha la sua, solo che non si conosce mai il momento in cui ci tocca oltrepassarla.

È il tempo del nostro destino, che corre sempre un passo avanti a noi, che quando è troppo veloce quella linea la tende per fare inciampare proprio chi stava guardando in alto e avanti, pensando a tutto il tempo che mancava. 
 
Non si dovrebbe mai morire a metà campionato; non si dovrebbe mai uscire durante il primo tempo, quando i calzettoni sono ancora stretti e alti e il tabellone sembra promettere tutto ciò che deve ancora succedere. 
 
Gli eroi non sono soltanto giovani e belli, come cantava il poeta: a volte hanno anche un sorriso timido e un fare semplice, educato, persino quando liberano l’area con un rinvio secco, magari imprecando per i compagni che non hanno tenuto la posizione. 
 
Ciao Davide, questo è ancora l’unico saluto che ancora adesso ci sembra naturale, come fosse la fine di un allenamento; la mano da stringere all’ex compagno in fila accanto a te, con una maglia diversa, nel sottopassaggio; il buongiorno in trasferta prima del caffè, come è giusto che sia ogni domenica mattina.
 
Ciao perché ti vogliamo sottrarre all’incredulità della notizia che sembra battuta per errore: sei nelle partite che hai disputato e in quelle con cui il calendario già ti attendeva, nei cartellini che l’arbitro ti avrebbe sventolato sotto il naso, nei gol che avresti sventato e in quelli che ti saresti spinto in avanti a cercare. Sei nelle maglie che hai vestito, compresa la nostra, che oggi sventola col tuo nome e il tuo numero un poco più in alto: non sapremmo dire bene dove, sappiamo soltanto che lì il tempo non finisce mai, come i pomeriggi d’estate dei ragazzini che giocano a pallone, quando tutti hanno diritto di diventare calciatori e alcuni di loro hanno già la faccia da capitano. 
 
 
 

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