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BOLOGNA-ROMA. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI

Una linea bianca, appena tracciata. Erba bassa e regolare sulla terra morbida e scura, sulla quale affondano con facilità i tacchetti. Ce lo immaginiamo così il paradiso di Giorgio Rossi, che c’è arrivato in tuta, poggiando la borsa.

I primi minuti sembrano tradire l’intenzione, solo quella, di “prendersi” la partita, dettandone i ritmi.

Il problema è che si aprono, abbastanza presto, voragini di centrocampo, causate da sincopi inspiegabili nel palleggio.

Santander è un bel paraculo, si può dire? Oltre che un provocatore, ovvio.
Kluivert comincia con un poco di arrosto, nel primo tempo; nel quarto d’ora finale i suoi dribbling li avvolge un po’ di fumo. A metà partita è una delle poche forme di vita romanista, comunque.
Parliamo di come si sviluppa l’azione del gol di Mattiello e della traiettoria della sua conclusione? Ciliegina sulla torta dell’autolesionismo che nella prima frazione di gioco, con la scontata collaborazione del rendimento di Skorupski, si impadronisce della Roma.
L’arbitro Massa, più d’una volta tra le palle dell’azione. Inteso come traiettoria.
Dopo un’ora di gioco, vale a dire due terzi di gara, appare chiaro che il Bologna sta giocando per salvare la panchina al suo allenatore.
Cristante al momento è un pesce fuor d’acqua; per questo dovrebbe, per un tempo limitato ovviamente, valere la sospensione del giudizio nei suoi confronti.
Raddoppio bolognese, con altra lettura difensiva – si fa per dire – allucinante = encefalogramma piatto delle reazioni romaniste.
Ci rileggiamo, tra titolari e riserve, i nomi a disposizione di Inzaghi? Meglio di no.
Ultimi venti minuti, stillicidio di avvilimento come poche altre volte. Le mezze occasioni che capitano a Dzeko e Pastore sono solo punteggiatura del nulla. Nulla.
Cartellini gialli: troppi, episodici e fortuiti. A fronte di un agonismo inesistente.
Fischia, va’.

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