STORIE GIALLOROSSE di Franco BOVAIOTOP

STORIE GIALLOROSSE… Astutillo

di Franco BOVAIO – Astutillo è un nome antico. Uno di quelli che ricordano l’Italia di una volta, nella quale al primo figlio maschio si metteva il nome del nonno paterno e alla prima figlia femmina quello della nonna. E se c’erano tanti fratelli e ognuno aveva dei figli si aveva un sacco di cugini omonimi. Ma per i romanisti Astutillo è solo uno: Malgioglio. Il secondo portiere della stagione della Coppa dei Campioni e della Roma con la maglia con lo scudetto. Un uomo meraviglioso, scriviamolo subito. Perché investiva i soldi che guadagnava con il calcio in una palestra attrezzata per il recupero dei ragazzi disabili. Un uomo che si è dedicato e si dedica agli altri con tutto se stesso che, per questo, siamo molto onorati di aver visto giocare con la nostra squadra. Anche se con la Roma ha disputato solo mezza partita di campionato (il secondo tempo di Catania-Roma 2-2, nel quale ha subito i due gol dei siciliani) e tre di Coppa Italia, queste senza reti al passivo.

Nel suo caso, infatti, non contano le presenze, anche perché davanti aveva quel mostro di regolarità e continuità che è stato Franco Tancredi, che in quel momento era anche ai massimi livelli della sua splendida carriera. Nel suo caso conta il bagaglio di umanità che ha portato dentro Trigoria e nella squadra. Contano l’altruismo e l’integrità morale che aveva. Conta tutto quello che faceva per i suoi ragazzi, che avevano più bisogno di lui di quanto, realmente, ne avesse la Roma, che lo aveva ingaggiato solo come secondo dopo l’addio al calcio di Superchi. Che lo aveva preceduto nel ruolo. Alla fine di quella stagione 1983-84, dopo la delusione per la Coppa dei Campioni persa contro il Liverpool e una Coppa Italia messa in bacheca, Astutillo attraversò il Tevere e andò a difendere i pali della Lazio, che era dove spesso è stata: in Serie B. Per molti romanisti fu un tradimento, ma presto si sarebbero dovuti ricredere, perché Malgioglio avrebbe compiuto un gesto che più romanista di così non avrebbe potuto fare.

Il 9 marzo 1986, al termine di Lazio-L.R.Vicenza 3-4, dopo essere stato aspramente contestato dalla curva laziale, che secondo lui espose anche uno striscione in cui c’era scritto che doveva tornare dai suoi “mostri”, riferendosi ai ragazzi disabili che lui e la moglie stavano aiutando, si tolse la maglia e ci sputò sopra, per poi gettarla in terra. Subito dopo Maglioglio rescisse il contratto con la Lazio e disse che avrebbe voluto ritirarsi dal calcio. Intanto per i romanisti era diventato un mito e qualcuno lo avrebbe anche rivoluto in squadra. Ma l’aria di Roma, per lui, si era fatta pesante. Tornato a casa sua, a Piacenza, è stato chiamato da Trapattoni all’Inter come vice Zenga e in nerazzurro è poi rimasto cinque anni.

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